Il Futurismo e la glorificazione della velocità: quando l'auto superava anche le statue greche

Nel 1909, un uomo di nome Filippo Tommaso Marinetti decise che la vera bellezza non era più quella delle muse greche o delle cattedrali gotiche, ma di un’automobile da corsa lanciata a tutta velocità. E così, con il suo Manifesto del Futurismo, dichiarò guerra a tutto ciò che era lento, antico e polveroso, incluso il nonno che probabilmente guidava ancora una carrozza. Il futuro, per Marinetti e i suoi seguaci, aveva quattro ruote, un motore rombante e lasciava dietro di sé una scia di fumo e benzina bruciata.
Ma non era un’auto qualsiasi a rubare il cuore dei futuristi. No, no. Doveva essere un bolide da corsa, una macchina che gridasse "superamento dei limiti" a ogni accelerazione. Infatti, Marinetti si ispirò a una corsa che fece con la sua Fiat, volando su strade polverose come se non ci fosse un domani. L'auto diventava così il simbolo perfetto della modernità: non solo un mezzo per arrivare da A a B, ma un’esperienza che scavalcava il tempo e la storia con un rombo assordante.In quegli anni, modelli come la Fiat 24-32 HP e la Isotta Fraschini Tipo FENC cominciavano a dominare le strade italiane e non solo. Ma l’apoteosi dell’auto sportiva era la Itala 35/45 HP, vincitrice del mitico Raid Pechino-Parigi del 1907. Immagina: percorrere migliaia di chilometri tra deserti, steppe e montagne con un mostro di ferro, solo per dimostrare che sì, il futuro era davvero qui, anche se aveva bisogno di cambiare le gomme ogni dieci chilometri.
Per i futuristi, l’automobile non era solo una macchina. Era un’idea, un manifesto su ruote. Chi aveva bisogno di poesie e quadri statici quando si poteva celebrare la bellezza della velocità? Marinetti proclamava che un'auto da corsa era "più bella della Vittoria di Samotracia", una dichiarazione che oggi probabilmente farebbe storcere il naso a un conservatore d’arte, ma che ai tempi fece impazzire gli amanti della tecnologia e delle novità. Perché sì, per i futuristi, il passato era una zavorra, qualcosa da rottamare come un’auto vecchia e arrugginita. Se non era veloce, non valeva.I futuristi glorificavano le gare automobilistiche come se fossero battaglie epiche (con meno spade e più pneumatici). Competizioni come la Targa Florio, una delle più antiche corse automobilistiche italiane, incarnavano l’essenza del movimento: il trionfo della macchina e della velocità sull'immobilità della vita quotidiana. Le curve strette delle montagne siciliane venivano affrontate con la stessa adrenalina con cui Marinetti affrontava i suoi manifesti: a tutta velocità, senza guardarsi indietro.E poi c’erano loro, gli artisti. Balla, Boccioni, Andreoni, Baldessari, Russolo ecc cercavano disperatamente di tradurre in arte quella sensazione unica che solo una macchina lanciata a tutta velocità può darti. Nei loro quadri, il movimento diventava il protagonista assoluto, come in “Dinamismo di un’auto”, in cui la macchina e la strada sembrano fondersi in un vortice di linee. Il mondo stava cambiando, e l'arte doveva cambiare con esso: più dinamismo, più energia, più velocità.
Ma non si trattava solo di arte. I futuristi immaginavano un futuro dove l’automobile sarebbe stata il centro di tutto: città tagliate da strade sopraelevate, edifici così alti che gli ascensori sarebbero stati più veloci delle auto stesse, e il rombo dei motori avrebbe sostituito le campane delle chiese. L’architetto Antonio Sant’Elia, per esempio, sognava città futuristiche dove le auto sfrecciavano tra grattacieli e ponti sospesi, creando un caos organizzato che faceva impallidire i centri storici.
E non è che l’automobile fosse solo un simbolo di progresso. Era anche un’affermazione di potere e libertà. Finalmente, l’uomo moderno poteva dominare il tempo e lo spazio. Modelli come la Lancia Alfa (1907) erano il sogno di ogni futurista: eleganza, potenza, e quella sensazione di poter scappare dal mondo con una semplice pressione sul pedale dell’acceleratore.L’ossessione per la velocità non si fermava, però, al puro movimento. Per i futuristi, la velocità era uno stile di vita. Ecco perché glorificavano la guerra come “igiene del mondo” – un’idea che oggi ci disturba, ma che all’epoca sembrava parte del pacchetto di velocità estrema. La distruzione era necessaria per costruire qualcosa di nuovo, proprio come una macchina vecchia che viene demolita per far posto a un nuovo modello scintillante.
Oggi, mentre guidiamo le nostre automobili elettriche o sogniamo di volare su auto a guida autonoma, è difficile non vedere l’eredità di quei folli futuristi. Magari non glorifichiamo più la guerra (fortunatamente), ma l’ossessione per la velocità, la tecnologia e l’automobile è più viva che mai. Forse Marinetti sarebbe entusiasta di vedere le auto che viaggiano senza bisogno di benzina e (quasi) senza pilota, chissà, magari starebbe già scrivendo un nuovo manifesto su come il futuro ora viaggia… in silenzio.
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