C’è chi sogna Ferrari. C’è chi sogna Lamborghini. E poi c’è chi, nel profondo del cuore, sogna ancora una Bianchina. Sì, proprio lei: piccola, simpatica, con quel suo charme da Vespa a quattro ruote. Ma attenzione, perché dietro quel musetto innocuo si nasconde una storia di innovazione, coraggio industriale e un pizzico di follia. Benvenuti nel mondo di Autobianchi.
Una figlia (non tanto) illegittimaCorreva l’anno 1955, e in un’Italia in pieno boom economico, Fiat decise che era ora di sperimentare, ma senza sporcarsi troppo le mani. Nacque così Autobianchi, una joint venture tra tre pezzi da novanta: la stessa Fiat (motori e ambizioni), Pirelli (gomme e grinta), e Bianchi (quella delle biciclette, che decise di fare un salto di categoria).Obiettivo? Creare un laboratorio su ruote per testare nuove soluzioni tecniche e stilistiche, che magari sarebbero finite, con discrezione, anche sui modelli più blasonati del Lingotto. Insomma: Autobianchi era il cugino strano della famiglia Fiat. Quello che si vestiva meglio, osava di più, ma non faceva mai troppo rumore.
La Bianchina: Audrey Hepburn in versione utilitariaIl primo amore non si scorda mai, e per Autobianchi fu la Bianchina, lanciata nel 1957. Basata sulla meccanica della Fiat 500 (che già di per sé era una piccola rivoluzione), ma con un design più chic, quasi da piccola diva. Non a caso, divenne l’auto di Ugo Fantozzi, che la guidava con tragica dignità. Una scelta mica casuale: era l’auto dell’italiano medio, quello che sognava Parigi ma finiva a Cinisello.
Il genio dietro la matita: stilisti e menti brillantiTra i nomi che hanno lasciato il segno nello stile Autobianchi, spicca Luigi Rapi, il designer Fiat che diede forma alla prima Bianchina, ma anche Marcello Gandini, passato da Bertone e autore della A112 nella sua evoluzione più grintosa.E qui entriamo in zona mito: la A112 Abarth, signore e signori. L’antesignana delle hot hatch. Una vera sportiva in miniatura che, se la sapevi guidare, poteva dare la paga anche a macchine ben più grosse. Amatissima dai giovani con il piede pesante e le tasche leggere. E soprattutto, vera palestra per i piloti in erba.
Premi, successi e la fine (ma con stile)Nel corso degli anni ’60 e ’70, Autobianchi fu pioniera anche con la Primula (1964), la prima trazione anteriore italiana con motore trasversale e sospensioni moderne, che anticipava quello che sarebbe poi diventato lo standard per tutto il gruppo Fiat.Autobianchi non fu mai una regina del mercato, ma fu spesso un passo avanti. Innovava, sperimentava e — nonostante il nome piccolo — aveva ambizioni da grande. Negli anni ’80, il marchio fu lentamente inglobato dentro Lancia, e nel 1995, con l’uscita di scena dell’ultima Y10 (già marchiata Lancia), Autobianchi salutò il mondo.Ma non prima di aver lasciato un’eredità che ancora oggi fa brillare gli occhi agli appassionati.
Curiosità per veri intenditori (o per darsi le aree al bar)
- La Primula fu studiata anche da Volkswagen, che prese appunti prima di lanciare la Golf.
- La A112 fu prodotta in oltre 1,2 milioni di esemplari, un successo clamoroso per un’auto di nicchia.
- La Bianchina fu esportata anche in Francia, con discreto successo. Ma non chiedetele di trasportare baguette: è pur sempre italiana.