Hopper: America, solitudine e automobili
- 14/09/2023
- Angela Ceravolo
Attivo nella prima metà del secolo scorso, Edward Hopper è riconosciuto per i suoi ritratti della solitudine nella vita americana contemporanea: dipinti senza un tempo specifico, rappresentazioni dell’animo umano e dei luoghi della quotidianità. In quasi tutte le sue opere l’occhio passa attraverso il fuori e il dentro dei protagonisti e dei luoghi senza accorgersene. Sono rari i suoi quadri in cui non compare un’entrata, una finestra o che l’ambiente non sia una stanza, o la camera di un motel, o un desolato bar notturno.
Nel dipinto del 1957, Western motel, la grande finestra che lascia entrare tantissima luce ci fa scoprire lo sconfinato paesaggio della sua America: monti, pianure e strade. Le strade però sono vuote, una sola auto verde brillante è parcheggiata fuori dal motel e occupa il centro del dipinto insieme al solitario personaggio femminile. Come la donna anche l’automobile è estremamente elegante, del classico design americano degli anni 50 c’è tutto, fanali tondi e cofano stondato compresi. La scena ritratta è ordinata e quasi impersonale: all’interno della stanza le pareti tinte di un verde scialbo, una lampada, una poltrona rossa, un tavolo, delle valigie. Ma il pennello di Hopper sembra dirci molto di più: nello sguardo della donna trapela una forte interiorità e grazie alla presenza dell’automobile siamo spinti a chiederci: Dove sta andando? É appena arrivata? Viaggia da sola? Chi sta guardando?“Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo“ dichiara Hopper. Cosa si prova ad entrare in questa opera lo si potrebbe chiedere ai fortunati visitatori del Virginia Museum of Fine Arts di Richmond che tra il 26 ottobre 2019 e il 23 febbraio 2020 ha ospitato una ricostruzione in scala reale del quadro. La camera era spoglia ma i particolari c’erano tutti, compresa la vista sul paesaggio e la Buick verde. Di giorno si poteva ammirare come un istallazione, invece di notte è stato permesso dormirci all’interno facendo vivere l’opera. Secondo il curatore della mostra Leo G. Mazow, quest’esperienza dovrebbe dare la sensazione di essere protagonisti indiscussi della nostra vita e di poter cogliere tutte le opportunità che ci vengono offerte. Margot Boyer-Dry del New York Times, che è stata invitata a passare una notte nella stanza, l’ha definita ideale come scenario di selfie.
In Portrait of Orleans, dipinto del 1950 e conservato al Fine Arts Museums of San Francisco, Hopper esprime tutte le caratteristiche del suo stile pittorico: forme ben delineate in luminosi paesaggi con una composizione costruita da un punto di vista cinematografico e un’aurea d’inquietante tranquillità. Sulla tela ha riportato una scena quotidiana, si notano in primo piano sulla destra l’insegna di una stazione di servizio e un semaforo, una serie di edifici colorati è raffigurata di fronte ad alberi scuri e cupi e in fondo una macchina percorre in lontananza la strada come un’ombra. L’automobile non ha colore, non si distingue il modello, è un archetipo che ancora oggi, dopo più di 70 anni, la rende moderna e contemporanea. Altre automobili sono presenti nel dipinto, ferme ad un terzo dell’opera, come ferma è la città di Orleans, inabitata e malinconica.Gli scorci che l’artista ci presenta sono sempre reali e senza abbellimenti per questo motivo quello che vediamo nelle sue opere ci permette di comprendere l’America del suo tempo che lui vede combattuta tra la malinconia di un tempo passato e la possibilità di quello futuro. Le automobili per Hopper sono il simbolo di un progresso inesorabile che ha portato gli individui ad allontanarsi causandone la solitudine.
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