Wolf Vostell: automobili e follia creativa

Se pensavate che l'arte fosse una questione di eleganza, delicatezza e magari di quadri appesi in salotti illuminati da candele, Wolf Vostell vi avrebbe risposto con un fragoroso "Nein!"
Tra le altre cose, questo eccentrico genio del Fluxus, il movimento artistico che ha fatto sembrare i dadaisti dei tranquilli pensionati in fila al supermercato, ha avuto l'ardire di prendere una Cadillac e trasformarla in una scultura di cemento, Cadillac 500 (1983). Niente di più naturale, giusto?Wolf Vostell era un maestro nel plasmare oggetti di uso comune in monoliti di pura assurdità. Prendiamo ad esempio la sua Cadillac, un'icona dell'opulenza americana, che sotto la sua "cura artistica" è diventata un blocco di cemento.Un’auto che non può essere guidata e nemmeno spostata, ma che sicuro pesa quanto l’ego di un miliardario in crisi di mezza età.Forse Vostell voleva dirci qualcosa sull’immobilismo della società dei consumi. O forse stava semplicemente cercando di capire quanto cemento ci volesse per trasformare un pezzo di cultura pop americana in un macigno inutile.
Il lavoro di Vostell, però, non si limita alla Cadillac cementificata. L'artista ha un curriculum impressionante di opere su ruote (teoricamente in movimento), ma che sembrano fatte per non andare da nessuna parte. Vostell amava le auto, ma evidentemente non le intendeva come mezzi di trasporto. Le vedeva come metafore dell'alienazione, del consumismo o semplicemente come ottimi pretesti per versarci sopra materiali pesanti.In Concrete Traffic (1970), per esempio, ha ricoperto una Pontiac intera di cemento, si ancora cemento, creando una scultura parcheggiata permanentemente nell'assurdo. Un omaggio alla vita moderna? Forse. O più semplicemente, un modo per esprimere il concetto di ingorgo permanente, una situazione ben nota a chiunque abbia mai passato un'ora in tangenziale.
Alla mostra Contemporanea di Roma nel 1973, Wolf Vostell preparò una delle sue performance più bizzarre e simboliche: Energia. Al centro dell’azione, una vecchia Cadillac Fleetwood veniva accostata a una trincea di filoni di pane, ciascuno arrotolato in vecchie copie de L’Unità. Un'immagine surreale che fondeva l'idea di ricchezza e potere (la Cadillac) con la fragilità quotidiana (il pane), il tutto mescolato a un simbolismo politico evidente (il giornale L’Unità). L’auto, così adornata e connessa a questo improbabile "bunker" di pane e carta stampata, rappresentava l’energia sociale e politica dell’epoca: un accumulo di tensioni tra consumismo, lotte di classe e ideologie in contrasto. Con questa performance, Vostell trasformava il consumismo in trincea, l’opulenza in decadenza, sottolineando come l’energia non fosse solo quella dei motori o delle macchine, ma una forza esplosiva e conflittuale che permeava la società stessa.
Nel 1973, con Auto-Fieber (Febbre dell'Auto), Wolf Vostell colse perfettamente l’ossessione dilagante della società per l’automobile e il consumismo sfrenato che l'accompagnava. L'opera è una performance/installazione in cui una macchina, il simbolo per eccellenza del progresso e del benessere economico, diventa metafora del delirio collettivo. Vostell coprì l’automobile di materiali caotici, trasmettendo un senso di saturazione e soffocamento, quasi fosse un corpo febbricitante, travolto da un’eccessiva dose di tecnologia e industrializzazione. Con Auto-Fieber, Vostell denunciava la "febbre" collettiva che aveva infettato l’umanità, un'ossessione per la velocità, la mobilità e il possesso materiale che, anziché liberare, ci imprigiona. L’auto, da strumento di libertà, diventa simbolo di alienazione, quasi un veicolo fermo in un ingorgo esistenziale. Come molte altre opere di Vostell, Auto-Fieber ci costringe a riconsiderare il nostro rapporto con gli oggetti che idolatriamo, rivelando l'inquietante fragilità nascosta sotto la superficie della modernità.
Un concetto simile nella sua scultura Car-TV Sculpture "The Winds" (1981), qui Wolf Vostell ci trascina in un vero e proprio vortice di tecnologia e alienazione. In questa opera, Vostell combina due simboli potenti della modernità: l’automobile e la televisione, fondendoli in una scultura che sembra catturare l’essenza del caos mediatico. L’automobile, in questo caso, diventa una sorta di cornice per una serie di monitor televisivi, che trasmettono immagini distorte e frammentarie. L'effetto complessivo è quello di un’auto sballottata dai "venti" della comunicazione di massa, incapace di avanzare in modo coerente in un mondo sovraccarico di informazioni. Con The Winds, Vostell critica l'invasione della tecnologia nella vita quotidiana e l'impatto paralizzante dei media, dove la velocità e il rumore visivo ci travolgono e ci rendono passivi. L'auto, da simbolo di libertà e movimento, diventa un veicolo fermo, intrappolato in una tempesta mediatica, evocando l’impotenza dell’individuo in un mondo dominato dall'eccesso tecnologico.
Mai delle opere di quaranta e cinquant’anni fa mi sono sembrate tanto contemporanee.È facile sorridere delle stravaganze di Vostell, ma alla fine la sua produzione d’arte solleva domande non banali. Qual è il ruolo della mobilità nella nostra vita? E se invece di idolatrare l’automobile come simbolo di libertà, la vedessimo come un oggetto ormai superato, immobile nella sua stessa pesantezza?In un’epoca in cui siamo ossessionati dal movimento continuo, dai viaggi veloci e dall’innovazione, Vostell ci sbatte in faccia il paradosso di un progresso che tanto nuovo non lo è più. Con le sue sculture, l’auto diventa una carcassa ingessata, simbolo di un’umanità ferma, incastrata nelle sue stesse contraddizioni.Wolf Vostell ci ha costretti a fermarci, piantarci nel terreno, anche se il mondo attorno a noi accelera. E allora, che cosa ne facciamo di una Cadillac se non possiamo guidarla? Forse ce la teniamo così, bella ferma, come un monito a non prendere sempre tutto troppo sul serio. D'altronde, il vero viaggio, forse direbbe Vostell, non è andare avanti, ma capire perché ci siamo fermati.
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